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LA SICUREZZA SUL LAVORO

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  • 29 apr 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

E' attuale la notizia secondo la quale, con la ripresa economica e delle attività lavorative, sono aumentati gli incidenti sul lavoro. Passa la notizia sia che è sempre per responsabilità degli imprenditori che non applicano le misure di sicurezza previste dalla legge, sia che i lavoratori sono le vittime.

Sentite allora questa storia.

Il cantiere affacciava sulla strada statale. L'imprenditore, avvisato dell'incidente, ci arrivò a piedi dopo avere parcheggiato l'auto duecento metri prima. La strada era sbarrata da polizia municipale, polizia stradale, carabinieri, vigili del fuoco e autolettiga.

Vide la scena da lontano. Due pompieri ridanciani inginocchiati in un grande gabazzo di ferro appeso alle funi della gru e, sdraiato in mezzo a loro, un operaio. Gli venne incontro il direttore dei lavori che lo rassicurò. Non era successo niente.

Secondo la sua intuizione l'operaio fingeva un infortunio.

L'operaio, un muratore quarantenne appesantito da evidente obesità, fu trasportato d'urgenza al pronto soccorso dell'ospedale, da dove fu dimesso dopo mezz'ora con la prognosi di quindici giorni per – contusione lombo-sacrale -.

Traduzione : aveva battuto il suo didietro, dove e come, lo si seppe dopo.

Da subito, la magistratura aprì il fascicolo a seguito di una proroga di prognosi di altre due settimane che alla fine fu fatta durare quasi tre anni.

Dopo quaranta giorni dall'incidente furono incriminati come “assassini” l'imprenditore, il capo operaio, il coordinatore per la sicurezza.

L'avvocato, cui l'imprenditore si rivolse per la difesa, disse che nelle cause di lavoro perdono sempre gli imprenditori e vincono sempre i dipendenti (brutta parola Newtoniana) e coloro che vi si accodano, parti civili ecc. L'avvocato aggiunse che l'obiettivo era quello di limitare i danni civili, a carico dell'impresa, e quelli penali, a carico dell'imprenditore.

Che cosa era successo ?

Gli ispettori del lavoro giudicarono il cantiere perfettamente in regola per quanto atteneva alla sicurezza. C'era solo un settore critico che non necessitava di protezione perché non vi era programmata alcuna attività.

L'incidente, ora si può dire così, fu fatto capitare in quel punto in cui il lavoratore semplicemente andò a farlo capitare.

Camminò sul bordo della soletta piana di copertura della casa in ristrutturazione e vi scivolò infilando una gamba nei diciotto centimetri che separavano il ponteggio di protezione dalla facciata dell'edifico, battendo il sedere sullo spigolo della soletta. Questo è quello che il lavoratore dichiarò agli inquirenti.

Ma nessun altro vide. Nessun altro operaio perché gli altri lavoravano, tutti, all'infuori del lavoratore che aveva deciso di passeggiare pur se era stato avvisato che non era consentito.

L'impalcato del ponteggio sul quale l'operaio si fermò nella caduta era cinquantaquattro centimetri (misurati dagli ispettori) sotto la quota da cui era caduto.

A processo, l'imprenditore si sentì chiedere dalla giudice interrogante arrogante, se confermava che l'operaio era caduto nel vuoto. L'imprenditore, consapevole della difficoltà che la magistrata avrebbe potuto incontrare nel valutare una misura metrica, preferì allora rispondere e chiarire che l'operaio era caduto come dall'altezza di una sedia.

Ma la magistrata insisteva. Voleva che l'imprenditore ammettesse che l'operaio era caduto nel vuoto. Con il dovuto rispetto e con il cenno di consenso del proprio avvocato difensore, l'imprenditore si permise di dire che, secondo il dizionario della lingua italiana, il vuoto era una entità di spazio incommensurabile, non certamente il salto da una sedia.

“Cancelliere, mettete a verbale che il teste si rifiuta di rispondere” sbottò la magistrata. L'imprenditore fu condannato in primo grado e versò una provvisionale di indennizzo a favore dell'operaio che non gli fu mai restituita nemmeno quando, in secondo grado, egli venne assolto.

Non furono assolti invece il capo-operaio e il coordinatore per la sicurezza ai quali furono pignorate le case pur se alla fine non vennero incarcerati come “assassini” grazie al fatto di avere sanato civilmente il penale.

Sono passati molti anni, durante i quali, così si seppe, l'operaio non lavorò mai più, ma fece molti sport, anche per dimagrire, vivendo di rendita.

Si seppe anche che, prima dell'incidente, il lavoratore era stato espulso dalla Confederazione Elvetica per simulazione di incidente. Ma la magistratura nostrana si rifiutò di “acquisire” l'atto.

Morale

Ci sono degli eventi naturali, come i terremoti e le alluvioni per esempio, che capitano indipendentemente che la protezione civile allerti il rischio con i codici di diversi colori.

Se si sbaglia colore la magistratura apre il fascicolo.

Più che giusto, se l'obiettivo è quello di verificare la correttezza dell'operato e le responsabilità di chi le ha.

Non è giusto cercare ad ogni costo il capro espiatorio.

Ci sono degli incidenti sui posti di lavoro che capitano pur con tutte le precauzioni e i piani di sicurezza previsti dalla legge.

Piani di sicurezza che consistono in pile di carta persino talora inutili e che funzionano non come strumento di prevenzione, ma come trappola per il capro espiatorio che deve rimanerci in ogni caso. E costano !

Con le stesse risorse la legge potrebbe prevedere corsi di formazione dei lavoratori. Un po' come quando il famoso maestro Manzi alfabetizzò mezza Italia alla televisione.

Soprattutto per educare i lavoratori -a valle di una corretta e verificata formazione- verso la responsabilità personale, venuta meno proprio a seguito della effimera protezione affidata alle scartoffie dei piani di sicurezza.


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