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L’Europa (e non solo) a rischio Quando la ministra Emma Bonino, impotente e zoppa,

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  • 8 mag 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Tito aveva organizzato la Jugoslavia in un federalismo decentrato, diverso e opposto a quello che in U.R.S.S. che era accentrato al massimo. Muore nel 1980 e la sua Federazione Balcanica si avvia verso la dissoluzione, Con lui si può dire che scompare l’ultimo degli Asburgo.

Cominciano le richieste e le dichiarazioni di indipendenza e di autonomia regionale.

La prima è quella del Kosovo, subito repressa dalla Serbia, perché la Serbia era in agguato da tempo e non voleva perdere l’occasione di diventare una potenza europea.

Ma subito tutto lo scenario si complica, e di colpo, tra il 1990/ 91, succede di tutto.

La caduta del muro di Berlino aveva messo in movimento l’universo.

In un clima da “liberi tutti” risorgono prepotenti i nazionalismi, c’è l’illusione di rapida ricchezza con il liberismo in economia, unita all’integrazione europea come facile obbiettivo di benessere, e poi le tensioni religiose si ripropongono, insieme alla distrazione e all’ignoranza dell’occidente, così tutto quanto nei Balcani si carica di tensioni violente.


Nel frattempo, al confine nord la nuova Russia post sovietica concentra truppe ed armamenti.

La Serbia guidata da Milosevic si proclama Repubblica indipendente e mette sotto controllo insieme al Kosovo anche la Voivodina, mentre nel 1991 la Slovenia e la Croazia dichiarano l’indipendenza.

Quando il 3 marzo 1992 anche a Bosnia Erzegovina , a seguito di referendum, proclama l’indipendenza la Serbia entra in scena e cerca di imporre con la forza il disegno di Milosevic della Grande Serbia, quale potenza prevalente e guida dei Carpazi.

La Slovenia sfruttando la sua posizione geografica si marginalizza, ma per il disegno serbo la Bosnia Erzegovina (30% di serbi) è la chiave di tutto, e la chiave della Bosnia Erzegovina è la capitale Seraievo.

L’esercito serbo con le milizie serbo bosniache circondano la città, ma la città si difende, gli assalti serbi non riescono a sfondare le difese, per cui comincia un assedio che dura 3 anni, durante i quali i rapporti politici e territoriali volgono rapidamente verso un intricato “tutti contro tutti”, e decine di migliaia sono le vittime che si susseguono in tutti i Balcani, vittime oggi rimosse o dimenticate, almeno dall’opinione pubblica fuori dai Balcani.

I media riportano di massacri stupri e genocidi a sfondo razziale e religioso e l’impressione è grande.


L’ONU combina poco perché le scarse milizie inviate sul territorio sono ridicolizzate dal prevalere della ferocia e dalla violenza generale.

Poi la NATO improvvisamente si sveglia a causa del sorgere della preoccupazione che tutta questa instabilità si espanda alla Grecia e alla Turchia attraverso il Kosovo.

La ministra della difesa dell’UE Emma Bonino, di fronte al susseguirsi di massacri a sfondo razziale e religioso, perde la testa, così sollecita e auspica un intervento via terra degli eserciti della NATO, cosa folle, perché avrebbe indotto a uno scontro con le truppe Russe, avrebbe bloccato gli accordi europei che bene o male arrancavano, riarmato la Germania, ma soprattutto avrebbe infilato tutti i protagonisti in un tunnel politico imprevedibile.

Inoltre per almeno 20 anni avrebbe messo in freezer ogni progresso per la costruzione dell’Europa .

Il momento era confuso, reagire in modo corretto era difficile.

Questa perdita di orientamento non è solo personale della Bonino, anche se il personaggio appare affetto da isteria politica, certamente il momento era confuso, reagire in modo corretto era difficile.

L’Unione Europea era presa e distratta dalla questione di Maastrich.

Questa è una classica sbandata dettata da un pacifismo male inteso, perché il perseguire la pace nel concreto, passa non per il pacifismo, mobile sentimento, ma passa attraverso l’intelligenza politica.

L’Italia e la Francia stavano cercando attraverso quel trattato di contenere lo strapotere della Germania unita, sbagliando. Volevano una Germania più Europea ed hanno ottenuto un’Europa più tedesca.

Tutte prese dal loro interesse immediato non vedevano che la casa stava per prendere fuoco.

Invece l’accordo tra il premier Dalema e il Presidente Clinton scongiurò un catastrofico intervento militare via terra, e con i bombardamenti dei ponti di Belgrado ed su altri obbiettivi strategici, provocano la caduta di Milosevic.

La fine della guerra arriva nel 1995 con la sottoscrizione degli accordi di Dayton che prevedono un processo di lento assorbimento della Jugoslavia in Europa, processo che la guerra ha semidistrutto, drammatizzato e quasi soffocato nel sangue.

Ma se riflettiamo a freddo, dobbiamo riconoscere la strategia di Milosevic aveva una sua coerenza, cioè

lui diceva: la Serbia è regione più grande ed importante della ex Jugoslavia, se prevale mette ordine nella regione e la guida in Europa: ok, perfetto!

Ma Milosevic non intende tutto ciò come un processo politico da coltivare con pazienza e in un ambito democratico, nient’affatto! Un processo del genere è destinato ad incontrare ostacoli egoistici sul suo cammino, per cui richiede sensibilità, rispetto, tempo e intelligenza politica.

Invece lui e il suo gruppo di disumani nazionalisti, prende la scorciatoia delle armi e della pulizia etnica, cioè gestisce una buona idea in modo criminale.

Milosevic sarà giudicato come criminale di guerra dalla Corte dell’Aia, ma misteriosamente muore prima della sentenza.

Così un paese come la Bosnia Erzegovina che era additato come esempio di convivenza civile tra etnie, culture e religioni diverse, è stato trascinato nel campo degli orrori, da violente tifoserie da stadio usate per provocare lacerazioni e lutti e scatenare un conflitto.

A 23 anni di distanza le conseguenze segnano ancora tutti i popoli della ex Jugoslavia le cui tappe per l’entrata nell’Europa sono ancora oggi un processo incompiuto; resta loro il 35% di disoccupazione e in Bosnia un tasso di povertà 2,5 volte superiore alla media europea.

Assistiamo dopo 23 anni della morte di Milosevic, anche a una specie di ritorno del fantasma, col sorgere di analisi che puntano a scagionarlo almeno dai delitti più gravi, e anche allo sviluppo di critiche al Tribunale dell’Aia come tribunale dei vincitori, non solo, e anche alla diffusioni di notizie false sulla avvenuta assoluzione di Milosevic.

Per ora sono solo manifestazioni secondarie di una realtà fatta di un disagio sociale ed economico che sta prendendo strade strane ed inedite.


PS. Le stime dei morti in questa guerra etnica sono contrastanti, ma nel 2017 quella più accettata è di circa 250 mila morti e oltre un milione di feriti. Le distruzioni materiali non sono state quantificate in modo accettabile. Si sa che nel 2004 la città di Seraievo era sta completamente ricostruita, e restavano solo molti morti che erano stati seppelliti in fretta negli svincoli stradali, luoghi trasformati in cimiteri di fortuna, ma che qualcuno non voleva trasferire per poter meglio ricordare.

 
 
 

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