Il signor nobil uomo capitano Ildefonso Sbarbato.
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- 9 ago 2018
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 10 ago 2018

Sulla facciata della caserma di Cesano Romano era stata affissa una lastra di marmo bianco grande come una parete. Vi era inciso un motto: “La naia è il far niente senza riposo, rendendo difficile il facile attraverso l’inutile“.
Era l'anno 1966 sia per gli uomini sia per gli dei e anche – ovviamente! – per gli allievi ufficiali della scuola militare.
Gli dei erano i loro istruttori. C'era il "Gladio".C’era il III/17°, il battaglione degli “Arditi”
C'era il generale di brigata De Lorenzo, quello che portava la caramella sull'occhio, non ricordo se destro o sinistro, ma lui, il generale, era... sinistro.
Avevo giurato con lui la mia dedizione alla Patria.
e solo dopo qualche anno lo avevano carcerato come sovversivo.
Aveva organizzato un colpo di stato finito male, non come quelli moderni che
finiscono … .
La guerra era finita da vent'anni, ma l'esercito era sempre all'erta per quel confine, verso la ex Jugoslavia di Tito che, nell'opinione pubblica, era la punta avanzata della Unione Sovietica.
I parroci, dai pulpiti, inneggiavano alla Democrazia Cristiana, demonizzavano i compagni Comunisti e, in campagna elettorale, gridavano: "Nella cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no !"
La scuola formava gli UOA (ufficiali osservatori avanzati) specializzati nel tiro dei mortai pesanti che sparavano bombe da sedici kili a sette chilometri di distanza, scavalcando colline e montagne.
Il Generale di brigata De Lorenzo minuscolo però. nobil uomo (allora si usava la sigla NH) Ildefonso Sbarbato era il comandante della compagnia mortai, base di fuoco di gruppo tattico.
A distanza di mezzo secolo, senza più l'incubo del fronte orientale, il ricordo di lui non è quello di un eroe sul campo di battaglia, quanto semmai quello di due sue caratteristiche: la cultura musicale e il linguaggio personale.
Accadde una volta che disse ad un mio commilitone di Padova, tale Ferro, che suonava il sassofono e parlava il tedesco, dopo averlo sorpreso a suonare una canzone romantica: " Ferro, me la zuoni in dedesco !"
Ma la caratteristica particolare era il suo modo di parlare che lo poteva collocare tribalmente come avellinese o giù di lì.
Parlava press'a poco come l'onorevole De Minkia.
Stava frequentando la scuola di guerra ed era in odore di promozione a Maggiore.
Una quasi nullità insomma, in quella grande caserma-scuola dove i colonnelli e i generali erano di casa, ma lui se la tirava tanto quanto veniva fino a rottura. Ed è ciò che avvenne.
Quella volta si era al poligono di tiro e si facevano le prove di lancio delle bombe a mano.
Erano delle "bombette" di colore rosso tipo Ferrari con una calottina di alluminio che bisognava strappare prima di lanciare.

Si chiamavano, se non ricordo male SRCM: molto rumore, ma praticamente innocue. Del resto erano state ideate espressamente per l'addestramento e non per l'utilizzo propriamente bellico.
Il capitano Ildefonso Sbarbato aveva schierato la compagnia.
Cinquantadue allievi in fila per uno. Lui di lato dei lanciatori in catena di lanciaggio.
" Avandi un aldro! Brondi ber il langio ... langio ! " BUMMM !
Finché arrivò il turno dell'allievo più raccomandato.
Un commilitone alto alto con la faccia che ricordava quell'ocone grosso e grasso, personaggio da fumetto tipo Topolino di Walt Disney.
Il capitano ripeté ormai per l'ennesima volta il comando:
" Avandi un aldro! Brondi ber il langio ... langio ! " BUMMM !
Ma fu un BUMMM molto ravvicinato, perché la bomba sfuggì di mano all'allievo e invece di cadere una ventina di metri oltre un muretto di protezione all'uopo utilizzato, cadde dietro il sedere del capitano che, adirato, ma, senza perdere il suo a plomb, proruppe in un "allievo, lei è un goglione, minghia!"
Eh, sì!
Agli allievi, che sarebbero diventati ufficiali dell’esercito italiano per regolamento spettava il titolo onorifico di “per signore” anche da parte degli alti ufficiali, di qualunque grado e blasone.
Il capitano, ferito nell’...onore, fu trasportato in infermeria perché alcuni filamenti di rame incandescente gli avevano perforato la tuta mimetica e gli si conficcarono si erano conficcati nelle chiappe.
Non ebbe né la croce di guerra e neppure la menzione d'onore, ma quando il corso finì e avvenne il congedo, il Capitano nobil uomo Ildefonso Sbarbato fece il discorso di commiato e pianse, come un nobil uomo.
Disse: " Gari allievi uffigiali, vi vaggio i miei biù gordiali auguri ber una garriera, anghe nella vida, denza di grandi avvenimendi gloriozi ".
Era davvero un gentiluomo.
Aveva ancora i cerotti sulle chiappe, ma strinse la mano a tutti, con particolare “calore” all'allievo lanciatore che si era particolarmente distinto in quella singolare circostanza mai più ripetuta.
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