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ISIS: fin che c'è guerra c'è speranza

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  • 22 apr 2018
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 28 apr 2018

Un ipotesi di lettura


Mossul e Raqqa sono cadute, e pare che dell’Isis resti poco o nulla, molti dei suoi combattenti sono morti, e i sopravvissuti sono fuggiti immergendosi nel gran minestrone di sangue e sofferenza che è il Medio Oriente, qualcuno è semplicemente tornato a casa.

Sembra il trionfo dell’antiterrorismo, del bene sul male, anche se si da per scontato che qualche colpo di coda del solito lupo solitario faccia qualche danno in Francia o a Dublino. Cosa, questa, che però aiuterà in occidente a giustificare di fronte ai contribuenti il mantenimento degli apparati polizieschi e repressivi ultimamente gonfiati a dismisura.


Comunque l’occidente adesso può tirare il fiato.

Noi invece tiriamo le somme.


Prima osservazione:

Le origini dell’Isis sono a dir poco, strane, di difficile individuazione, misteriose. Poche sono le notizie certe, e di difficile interpretazione, la documentazione è scarsa: per lo più si tratta di stralci video, intervite slegate, proclami il cui senso è quasi un rebus.

Ma alla lunga la logica ci consente alcune relative certezze.

Di fatto l’Isis compare nel 2014 e arriva d’improvviso, ben armato e con idee chiare e precise, dotato di uno schema di comunicazione sofisticato e ben strutturato.

Pronto all’uso, dotato cioè con una qualità particolarissima ma fondamentale, che analizzerò più avanti e che si può chiamare semplicemente dotato della qualità: “USA E GETTA.”


Seconda osservazione:

Se lo si confronta con Al Qaeda si nota che quella organizzazione si era costruita attraverso tante prove e mille esercitazioni ideologiche e militari, lungo ben 20 anni.

Cioè, Al Qaeda era partita nel 1979 quando l’URSS aveva invaso l’Afganistan, e per arrivare all’ 11 settembre 2001 ci aveva messo 20 anni.

L’Isis no! Pare che spunti dalla terra come un fungo.

Tracce, poche, ma ce ne sono.

Il gruppo originario viene sicuramente dal disciolto esercito di Sadam Hussein in versione criminale, più una serie di bande Jiadiste che gli si sono raggruppate attorno.


Terza osservazione:

La responsabilità di tutto è da attribuire alla cecità politica e diplomatica degli USA, in particolare quando, dopo la seconda invasione dell’Irak, ha creduto di avere un potere illimitato e perenne, capace di annichilire ogni centro di dissenso.

Questa totale assenza di lungimiranza politica ha fatto precipitare il paese nella tragedia che ancor oggi si vive non solo in Irak, e ha messo le radici di guai ancor peggiori di cui l’Isis è uno dei germogli.

Si erano formate diverse milizie Jiadiste che si sono unite e riciclate perché ben finanziate, cioè il denaro è uno dei collanti. E l’unità delle bande è completata soprattutto con una propaganda ideologica abile, somministrata attraverso un intelligente uso dei mezzi moderni di comunicazione.

Al Baghdadi era solo un avanzo di galera e un terrorista abbastanza scarso, senza una preparazione teologica, ma l’invenzione strumentale del nuovo “Califfato”, e i riferimenti storici ai vecchi trattati degli anni ’20 e ’30 stipulati dai colonialisti, è molto abile, corretto storicamente, e persuasivo per tutte le masse islamiche frustrate.

Un piano di comunicazione così abile non lo può aver organizzato una banda di rozzi semianalfabeti.

Allora, c’è un burattinaio? C’è una centrale operativa?

La vendita del petrolio è sicura, essa spiega il flusso dei soldi, ma chi lo compera questo petrolio? ma sopratutto perché?

L’avidità umana non spiega l’uso politico straordinario che se ne fa.


Quarta osservazione:

un occhio sull’IRAN va dato.


L’IRAN ha tre caratteristiche storiche fondamentali:

  • Non è mai stato invaso militarmente da nessuna potenza coloniale.

  • Il clero sciita è sempre stato assolutamente conservatore e quietista, sempre allineato con il potere del momento.

  • La sua autonomia si è sempre retta sul contrasto tra Russia e Inghilterra.

Komeini cambia le carte in tavola fondando lo stato Islamico, che è una novità assoluta.

Valuta, dal punto di vista marxista, la situazione come matura per la rivoluzione.

(Ricordo che Komeini è stato molto a lungo allievo di Ali .......... che fu un acutissimo studioso di Marx, e forse il migliore pensatore marxista di tutto il mondo arabo).


Komeini, poi, distribuisce migliaia di audio cassette con incisi i suoi sermoni, invadendo il Paese e conquistando il potere, distruggendo un sistema corrotto che da tempo vacillava.

Il nuovo stato islamico sopravvive alla guerra con l’Irak, poi umilia gli USA sequestrando l’ambasciata USA di Theheran (cioè umilia l’Occidente), e si avvia a diventare una grande potenza regionale, con una identità precisa e alla ricerca della sua bomba atomica.

Komeini affranca il paese dai tre vincoli storici che lo hanno perseguitato per 150 anni, e al tempo stesso mostra una via ierocratica generale a un miliardo e mezzo di islamici nel mondo.

Oggi l’IRAN aspira a diventare il baricentro della stabilità della regione, cioè suggerisce a tutti, che con lo stato islamico ci può essere una futura, non prossima ma possibile, Federazione Islamica Medio Orientale, che rimetta finalmente ordine.

Se lasciati fare, i Komeinisti arrivano facile a un accordo con l’Egitto.

(Egitto, dove i fratelli mussulmani hanno vinto le elezioni alla grande, e dove oggi sono perseguitati, incarcerati ed uccisi dai militari)

Gli egiziani, se pur sunniti, propendono da sempre per un’alleanza generale in nome dell’Islam, e possono essere pronti per una Federazione Araba come fece Nasser, ma stavolta in chiave Islamica. A una eventualità del genere nessun governante è d’accordo, anzi!

La voce del popolo è sempre più chiara, ma nessuno la vuol sentire.

Non basta, perché quasi tutti i governanti si domandano, terrorizzati, come scongiurare un’ipotesi del genere. Ed ecco la cinica risposta:

la balcanizzazione definitiva di tutto il Medio Oriente, possibilmente tirando nella trappola della guerra a bassa intensità anche l’Iran.


Quinta osservazione:

Che cosa ci ha insegnato Al Qaeda?

Che coi soldi e il fanatismo puoi arrivare dappertutto, sia nel cuore del nemico che in culo ai lupi, ed è sempre facile colpire là dove il potere è corrotto e vacillante.

Con i telefonini, i computer e un piano propagandistico sensazionale (cioè che usa sensazioni fortissime, tipo: esecuzioni in diretta, bambini estratti ancora vivi dalle macerie, ma soprattutto attentati che scuotono le calde pantofole degli Europei) l’Isis riesce a mettere le mani su un territorio grande come mezza Europa nel giro di poco più di un anno, e al tempo stesso terrorizza mezzo mondo.

Per cui, acquisito quanto sopra, si può cominciare la balcanizzazione vera e propria del territorio.

Come?

Coinvolgendo nuovi attori, forze potenti e nuovi comprimari.


Ecco: oltre ai soliti protagonisti locali – insieme agli onnipresenti americani – arrivano i turchi, i russi, altri marines in aggiunta, poi i Curdi, più i soliti israeliani (questi ultimi sempre sul piede di guerra e terrorizzati da qualsiasi prospettiva di unione dei popoli arabi). Ma soprattutto, in chiave anti IRAN, anche l’Arabia Saudita che finalmente scende in campo. Così, nella massima confusione, una volta sconfitto l’Isis, l’estrazione del petrolio è garantita, perché questo è il vero obbiettivo.


Ma prima di concludere s’impone però una breve riflessione sull’affermazione appena fatta:

“Una volta sconfitto l’Isis”.


È un dato di fatto che l’Isis funziona, o meglio è stato creato apposta per restare debole, esso agisce con interventi sempre suicidi, per cui al suo interno non si va strutturando una classe dirigente, deve ripartire sempre da zero. Non c’è selezione tra i combattenti che così non crescono con l’esperienza dalle battaglie, l’Isis chiede ai suoi militanti solo di morire colpendo il nemico, per cui è di fatto, un organismo dalla vita effimera, un “USA E GETTA”!


Quindi, esaurito l’Isis, tranquillamente l’estrazione dell’oro nero può riprendere, “business as usual”, garantita da un altro decennio di guerre a bassa intensità.

Inoltre, in concomitanza, e tanto per mantener caldo l’ambiente, si è aperto un nuovo fronte di guerra e disperazione, quello dello Yemen, questione tenuta in riserva da parecchio. Lì il movente è facile da trovare dato che laggiù ci sono ancora in giro a piede libero addirittura dei comunisti.

In sintesi: “Fin che c’è guerra c’è speranza!”, per cui è facile argomentare che in M.O. si avrà la pace solo quando il suo petrolio sarà esaurito!


Cioè, forse, tra 40 anni.




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